Enrico Mantero

Enrico Mantero nasce a Como il 17 gennaio del 1934. Di lui stesso diceva “Non sono un urbanista, ma solo un architetto e un docente di architettura”, ma la sua figura, ricca e complessa, ha rappresentato molto di più per Como, e non solo, anche oggi, dopo la sua scomparsa avvenuta il 14 novembre 2001, a 67 anni. Il padre Gianni era un prestigioso progettista, oltre che sportivo di rango, che lo introdusse in un ambiente di alto livello con professori come Luigi Dodi e Gio Ponti. L’ingegner Gianni era inoltre un appassionato di grafica ed uno xilografo valente, negli anni giovanili, dal segno forte e classicamente severo, alla De Carolis, un infaticabile e competentissimo collezionista di ex-libris che riversava nelle superfici dei palazzi questa sua predilezione per gli arabeschi e gli intrecci di segni. L’amicizia con Giuseppe Terragni, e l’esempio trascinante di questo grande seduttore del rinnovamento architettonico, indusse Gianni ad uscire, in una stagione creativa intensa e feconda, accanto ad alcune eleganti applicazioni dello stile novecentista, a realizzazioni architettoniche obbedienti alle regole del Razionalismo, essenziali ed armoniose nelle forme, rigorose nella struttura. La strenua battaglia ideale di Terragni, stroncata dalla guerra e dalla sua tragica conclusione, rappresentò un momento d’irripetibile slancio verso la modernità, vera o presunta che fosse: e per Gianni Mantero, come per altri compagni d’avventura, la conclusione non senza amarezze dell’esuberanza giovanile.
Della carismatica presenza di Terragni rimase l’eco, e il giovane Enrico Mantero ne avvertì presto la suggestione, comprendendone la portata anche attraverso le testimonianze paterne, come un lessico familiare. Laureatosi in Architettura al Politecnico di Milano nel 1960, Enrico venne chiamato già nel 1962 da Ernesto Rogers come suo assistente. Diventerà dal 1971 Libero docente di Composizione, professore ordinario di Composizione Architettonica presso la stessa facoltà di Milano dal 1981, e direttore del Dipartimento di Progettazione dell’Architettura dal 1982 al 1985. Diventerà presto un esperto e studioso delle metodologie di progettazione e in particolare del periodo razionalista. La sua tesi di laurea, poi riversata nel volume Giuseppe Terragni e la città del Razionalismo italiano (Dedalo Libri, 1969), tese a ricostruire un metodo di lavoro, una figura, un ambiente. In particolare, attraverso una paziente e minuziosa ricerca
d’archivio, Enrico Mantero ritrovò e classificò una messe di documenti d’epoca, lettere,
articoli di giornale, spunti di dibattiti e di polemiche, che illuminavano la rete di rapporti
fra i personaggi che negli anni Trenta avevano favorito oppure osteggiato il progetto di un
microcosmo urbano del Razionalismo. Accanto alla coerente esposizione del percorso seguito
dal grande architetto comasco, accompagnato dalla prima diretta catalogazione delle opere
originali, aveva così realizzato una specie di contrappunto corale, fatto di mille voci, discordanti
o amichevoli, fra le quali si librava con vigore, e talora con una sorta di disperata energia, la voce
dello stesso protagonista, che spiegava, replicava, difendeva ogni elaborazione del suo ingegno.
Da allora, si può dire senza interruzioni, Enrico Mantero ha compiuto in saggi – specialmente
ne Il Razionalismo italiano (Zanichelli 1984) –, conferenze, studi, lezioni, mostre, fra cui
in particolare Lo spazio armonico allestita a Como nel 1978, un avvicinamento progressivo
all’eredità di Giuseppe Terragni ed anche di quanti l’hanno affiancata e raccolta, chiarendo il
senso e la misura del laboratorio progettuale razionalista, che seppe uscire dall’ambito ristretto
di una piccola città di confine per guadagnare panorami progettuali ben più ampi. Il suo
articolato intervento per la mostra antologica di Terragni alla Triennale nel 1994, Dai paesaggi
familiari all’orizzonte europeo, rappresenta non la conclusione ma certo l’esito avanzato di un
appassionante processo di conoscenza anche umano, di penetrazione psicologica, iniziato oltre
trent’anni prima. Dal 1963 di Enrico Mantero furono pubblicati oltre 50 progetti – opere e
studi – sulle principali riviste di architettura italiane e straniere. Oltre al lavoro infaticabile su
Terragni svolse un’intensa attività professionale nel campo della ricerca storico-urbanistica e
architettonica che lo spinse a partecipare a numerosissimi concorsi italiani e internazionali,
oltre ad iscriversi nel 1964 all’Albo Gescal per la sezione Edilizia e Urbanistica a seguito della
positiva partecipazione al Primo Concorso Biennale per la formazione dell’Albo Nazionale dei
progettisti – dedicato al programma decennale di costruzione di alloggi per lavoratori –, nonché
membro effettivo dell’Istituto Nazionale di Urbanistica – Sezione Lombardia dal 12 dicembre
del 1971. Entrò a far parte del comitato scientifico per diverse esposizioni relative l’architettura
ed ebbe l’incarico per l’allestimento della Sezione introduttiva internazionale alla XIII Triennale
di Milano, dedicata al tempo libero (con Canella, Gregotti e Semerani), precedentemente alla
mostra su Terragni. Tenne stage di Progettazione Interfacoltà presso le facoltà di Architettura
di Delft, di Barcellona, di Atene e numerosi seminari e convegni in moltissime città italiane
oltre a partecipare, nel 1976 a un ciclo di cinque trasmissioni sull’Architettura moderna per

conto della Televisione della Svizzera Italiana. Il “lessico familiare”, inteso e praticato nella casa
paterna, divenne in lui un costante principio-guida di operatività, una linea d’impegno morale,
un ordine mentale che nella rigorosa scansione degli spazi proietta la sua concezione equilibrata,
democratica, della vita collettiva. I suoi molti allievi all’università l’hanno appreso dagli esempi,
oltre che dalle lezioni. Ed hanno capito, seguendolo, che l’aspirazione al nuovo non può essere
frutto di capriccio, che l’invenzione deve tener conto di valori intramontabili: che l’architettura,
infine, prima di cambiare la realtà delle cose, deve proporsi di agevolarne il regolare sviluppo
senza traumi né brusche spezzature. La misurata continuità dell’esperienza razionalista, lo studio
dell’opera di Terragni, contarono in lui non soltanto per ragioni di equità storica, ma per l’intima
adesione a ciò che possono rappresentare in ogni tempo: la classica armonia delle proporzioni,
l’inserimento coerente in un contesto ambientale ricco di significative preesistenze, il rispetto per
una tradizione culturale che cercando di aderire alle esigenze del suo tempo non può comunque
mai rinnegare se stessa. Questo è l’esempio che ha dato in un’attività professionale intensa e
coerente, con decine e decine di progetti; questa è l’eredità che ci lascia, nella sua città alla quale
è rimasto fedele, fino all’ultimo respiro.

[ALBERTO LONGATTI e JESSICA ANAIS SAVOIA da MANTERO. CENTO ANNI DI ARCHITETTURA]