Questa parte della città è caratterizzata da una sua storica vocazione alla ricettività, al tempo libero, alla celebratività; si tratta dell’area dove sono localizzati lo Stadio, il Monumento ai Caduti, i club nautici e i giardini pubblici. Storicamente, ogni ricambio funzionale è avvenuto soprattutto per ragioni di mutata gerarchia di una parte della città rispetto alla totalità urbana. In particolare l’area qui considerata, dalla fi ne dell’Ottocento, è stata occasione di specifiche localizzazioni, a partire dall’Esposizione Voltiana del 1899 – segno di quella volontà promozionale che ha contraddistinto il decollo dell’industria tessile e dei settori a essa collegati -, fino al suo consolidamento degli anni Trenta, quando assume caratteri di conformità rispetto alla città storica. Dal Novocomun al Monumento ai Caduti di Giuseppe Terragni, al complesso polifunzionale e sportivo della Casa del Balilla e della sede della Canottieri Lario di Gianni Mantero, nasce un brano di città verde costituita da veri e propri prototipi tipologici del Razionalismo Italiano. L’area è circondata da molte realtà positive: da un lato la passeggiata a lago, i giardini pubblici con il Tempio Voltiano, i lungo lago Trento e Trieste fino alla passeggiata di viale Geno, al punto d’essere il polmone di questa continuità pedonale sul la quale si affacciano le realtà storiche della città: il borgo Vico, la città murata, il borgo Sant’Agostino, tutte aree produttive, residenziali, commerciali e direzionali. La struttura originale dell’impianto sportivo, realizzata dall’ingegnere milanese Giovanni Greppi nel 1925-1927, costituita dall’attuale tribuna sud e dall’anello per le gare ciclistiche, viene, nel 1933, per opera dell’ingegnere comasco Gianni Mantero, avvolta e completata funzionalmente con la piscina olimpica, con la palestra e con il corpo di fabbrica est, desti nato alle sedi sportive e di rappresentanza. Il complesso, vincolato per il valore storico e architettonico ai sensi della legge n.1089 del 1 giugno 1939, andò così a completare quella che in precedenza definimmo come area monumentale del Razionalismo Comasco. Particolare e unico è il fabbricato che accoglie le funzioni amministrative sulla via Sinigaglia che realizza un brano urbano inusuale per un impianto sportivo, inserendosi nel contesto urbano e mitigandone l’impatto. Il tema più importante, quanto a risultato architettonico, è stata la sostituzione della pensilina de gli anni Venti in calcestruzzo, appartenente all’impianto sportivo preesistente del Greppi, con una nuova che permettesse una copertura più ampia e che risolvesse, con la sostituzione degli appoggi, il problema della scarsissima visibilità offerta in precedenza dalla tribuna sud, problema superato dal primo lotto del restauro avvenuto ad opera di Enrico Mantero nel 1987. Qui Enrico ha optato, coerentemente a un’ipotesi di continuità con il linguaggio degli anni Trenta per una struttura metallica a tralicci, formata da un sistema di gru, affiancate, collegate tra loro e ricoperte di materiale traslucido. Si è così ottenuto, oltre che un effetto di leggerezza, anche un effetto di solidità con il risultato stilistico non mimetico alla preesistenza architettonica. Un secondo tema, apparentemente di dettaglio ma altrettanto importante, è stato quello del ripristino della pelle esterna del fabbricato ex ONB (Opera Nazionale Balilla), intervento del 1987, dove l’ammaloramento degli in tonaci, dei rivestimenti marmorei ed in parte dei serramenti, nonché il problema delle coperture rivestite nel dopoguerra con falde marsigliesi, era ormai di enorme evidenza. Ultimo argomento affrontato per il secondo lotto, anche se non richiesto ma proposto con attenzione per un definitivo inserimento ambientale del complesso, è stato quello della copertura delle cosiddette sotto-tribune a nord e lungo le curve, con l’erezione di pannelli in calcestruzzo semicircolari e colorati a tutt’altezza, proponendo un effetto di colonnato continuo lungo il perimetro, opera iniziata nel 1992 sempre da Enrico e terminata da lui stesso tre anni dopo. Il terzo lotto del restauro investì la curva ospiti, o curva est. A questo riguardo il progettista presenta il progetto con una citazione: “…ma consideriamo il modo di lavorare dell’architetto, e come le forme s’accordino tra loro per sfruttare questo dominio e, forse, per dargli una nuova figura. Le tre dimensioni non sono soltanto il luogo dell’architettura, ne sono pure la materia, coi suoi caratteri di pesantezza e d’equilibrio. Il rapporto che le unisce in un edificio non è mai indifferente, e nemmeno è fisso. L’ordine delle proporzioni interviene nel loro trattamento, che conferisce alla forma la sua originalità e modella lo spazio secondo convenienze calcolate. La lettura della pianta e poi lo studio dell’alzato danno soltanto un’idea molto imperfetta di queste relazioni. Un edificio non è collezione di superfici, ma un insieme di parti, la cui lunghezza e profondità s’accordano tra loro in un certo modo e costituiscono un solido inedito, il quale comporta un volume interno ed una messa esterna…” (Henri Focillon, Vita delle forme, Parigi 1943). La genesi del progetto – ambientale, architettonica e tipologico –, inserito nello stupendo brano del museo diffuso del Razionalismo Comasco, si avvale di questa sintesi concettuale citata di Henri Focillon unitamente all’insegnamento di Ernesto Nathan Rogers sulla profonda questione di saper agire da architetti nelle preesistenze ambientali, come stimolo, sia nel senso organico del paesaggio che nel senso più particolare delle architetture precedenti e dei loro contenuti. Nel caso di questo progetto, siamo di fronte ad ambedue le condizioni sopra citate. Tornando al museo diffuso, costruito da architetti-ingegneri di formazione politecnica e da architetti usciti dall’allora neonata Facoltà di Architettura, troviamo edifici urbani come il Novocomum del 1927-1928 e la Casa Giuliani Frigerio del 1934-1940 di Giuseppe Terragni, edifici pubblici come lo Stadio del 1933 e la Canottieri Lario del 1931 di Gianni Mantero, l’Hangar attuale di Carlo Ponci del 1931 – diverso dalla proposta di Giuseppe Terragni – e infine la poesia e le grandi forme del Monumento ai Caduti, ancora di Terragni, del 1931-1933 che con il suo basamento e il grande volume a torre traforata segna in modo anti-monumentale il confine tra la città e il lago. Terragni qui ha saputo dare la vera testimonianza dei valori primordiali e di una eloquente sintesi tra passato classico e futuro. Tornando allo Stadio, anche il progetto del la nuova curva est del 1998 cerca di entrare nella vita delle forme di queste preesistenze. Infatti verso sud dialoga con la titanica mole dell’angolo-colonna del Novocomum e, con l’esedra in ferro e vetro di scuola gropiusiana, della scala dell’ex ONB. A nord e a sud sul lato est dello stadio si determina una figura data dalle due poderose rampe di risalita si mili alle due gambe della Sfinge egizia, così come quelle del Monumento ai Caduti, delle quali quella a nord sembra voler raggiunge re il lago: dialoghi ravvicinati di forme con funzioni diverse quindi, la cui vita sta nella natura dialogante delle stesse. Infine la veduta interna dalla tribuna centrale coperta, realizzata nel 1990 dove è visibile la grande apertura centrale che fa entrare il verde del Parco e nel terminale nord lascia libera la lettura dei basamenti inclinati della mole forata verso il lago e il passaggio circostante del Monumento ai Caduti: aperture che rendono possibile una continuità tra spazio sportivo e urbano.

[DAVIDE MANTERO da MANTERO: CENTO ANNI DI ARCHITETTURA]