Scuola Media di Albate

Il progetto della Scuola Media di Albate, frazione alla periferia sud della città, fu affidato dal Comune di Como a Gianni Mantero. Il tema venne però sviluppato in autonomia da Enrico Mantero attraverso due progetti di stinti dei quali il primo superato a causa del modificarsi delle esigenze – dovuto al forte incremento del fabbisogno scolastico di quegli anni –, e il secondo effettivamente realizzato in due lotti partiti in rapida successione. Il progetto del 1966, dimensionato su un’utenza di cinquecento alunni, prevede la costruzione della scuola nella parte nord del lotto ma estende il disegno anche alla definizione di una piazza nella parte di lotto residua, con gradoni che individuano aree per attività all’aperto e un piccolo monumento semplicemente abbozzato. L’architettura della scuola appare come un organismo complesso, una macchina il cui funzionamento può essere letto anche dall’esterno. Alcuni elementi portano un’impronta molto forte all’immagine generale come la linea obliqua dello scalone centrale, il piano inclinato a essa contrapposto che fa da copertura alla sala auditorium/aula magna e il parallelepipedo delle aule che emerge sullo sfondo. Forme pure ma complesse nel loro aggregarsi e nel trattamento delle superfici: muri pieni, superfici interamente vetrate, muri frazionati in setti murari inclinati per schermare l’illuminazione delle aule. L’impianto generale si organizza attorno ad uno scalone lineare a doppia rampa che dalla quota a piano strada porta fino al secondo piano – il terzo fuori terra – delle aule normali. Elemento espressivo che segna con forza anche lo spazio interno, lo scalone mette in comunicazione diretta i tre piani della scuola e dà ordine all’aggregazione al piano terra delle zone collettive della scuola: la sala polifunzionale, gli uffici, la biblioteca, la palestra. La piastra del piano terra racchiude due corti che offrono l’illuminazione agli spazi didattici – aule normali e speciali, laboratori – posti alla quota inferiore del corpo aule. I piani superiori dello stesso corpo presentano identica soluzione tipologica: otto aule per piano distribuite da un corridoio. Lungo il lato nord viene collocato un blocco che contiene le aule per l’educazione artistica ed i servizi. Il primo progetto contiene, quasi in modo programmatico, intenzioni e scelte che verranno sviluppate, anche se in altre forme, nel progetto del 1969 nel quale Mantero dovrà sviluppare una soluzione completamente nuova a partire da un nuovo dimensionamento: seicento alunni con ventiquattro aule normali, sei aule speciali, due palestre, un’aula magna oltre agli spazi complementari e di servizio. Predisposta nei primi mesi del 1969 la nuova soluzione verrà eseguita immediatamente, facendo partire la costruzione di un primo lotto – l’ala est – al quale seguirà, a scuola già funzionante, il secondo lotto. La forte immagine macchinistica della prima soluzione viene sostituita, con quella di una cittadella fortificata che si contrappone, nella sua compattezza, alla morfologia incerta e casuale del tessuto edilizio periferico. Come nel primo progetto vi è la volontà di costruire uno spazio urbano che qualifichi questa parte di città. Anche se poco più di un ritaglio residuale del lotto lo spazio davanti alla scuola promuove il rapporto con la città e dà profondità prospettica, e maggiore riconoscibilità alle fi gure architettoniche che compongono l’edificio. Nel prospetto principale le due scalinate inserite nei volumi appaiono come porte della cittadella, le due testate dei corpi aule come due torri, le facciate laterali, severe nella prevalenza delle parti chiuse, sembrano mura fortificate, interrotte dal gioco di rientranze dei corpi scala, che ricordano bastioni difensivi. La corte, alla quale si arriva salendo le due scale esterne, a quota ingressi – è il primo piano dell’edificio –, è una piazza urbana contornata da altre figure architettoniche: un portico che sostiene la massa quasi chiusa delle aule di educazione artistica e le due facciate più aperte dei corpi delle aule segnate dalle strisce continue delle finestre. E ancora, gli spazi che mettono in comunicazione la corte con la quo ta inferiore della scuola – una balconata che si affaccia sulle palestre e una gradonata che collega al cortile della biblioteca – sono figure che evocano pezzi di città, più che riferimenti a specifiche architetture. Anche se attento all’attualità della ricerca architettonica e all’evolversi del suo linguaggio, Enrico Mantero ha sempre preferito – e così è stato anche nel suo insegnamento – confrontarsi con quel grande manuale di architettura che è la storia della città, per trovare in essa nuove ragioni e nuove forme costruttive. La chiara impostazione tipologica della scuola si riassume nella scelta di collocare al piano strada una piastra contenente gli spazi collettivi – palestre, biblioteca, aula magna – incastonata in un impianto ad H le cui ali laterali contengono le aule normali distribuite da un corridoio di ampia dimensione e il cui elemento trasversale accoglie collegamenti e spazi per laboratorio e aule speciali. Questa scelta generale dà com pattezza all’edificio e offre numerosi vantaggi funzionali in quanto limita la lunghezza dei corridoi e permette diverse possibilità di illuminazione naturale – illuminazione est-ovest per le aule, illuminazione a nord per le palestre e le aule per educazione artistica, illuminazione filtrata attraverso cortili interni, o dosata attraverso altri espedienti, per la biblioteca e per l’aula magna –. Altra scelta basilare è quella di porre i due distinti ingressi – uno per ala – alla quota del primo piano, collegati tra loro da un percorso porticato e connessi al piano strada dalle due scalinate. Una soluzione che riduce
le distanze negli spostamenti interni all’edificio e rende più elastico l’uso della scuola. Grazie a questa soluzione oggi convivono due scuole distinte, primaria e secondaria, nello stesso edificio. Come in molte architetture di Enrico Mantero il linguaggio è strettamente interseca to alla ricerca tipologica – che è il tema principale sul quale questo progetto si misura –, alla parola conclusiva di un ragionamento sulla funzione, sul senso di un’architettura rispetto al contesto e rispetto al momento storico. Par tendo da una composizione di figure volumetriche semplici aggregate e compenetrate l’una nell’altra il procedimento è quello di agire su alcune parti di esse scavando, piegando, bucando. Il motivo di queste azioni sulla materia è molteplice: alla base vi è un’esigenza espressiva ma anche una ricerca, attraverso la forma, di nuovi contenuti per l’architettura che vadano oltre la semplice adesione al dato funzionale. Le facciate esterne dei due corpi delle aule pre sentano due lunghe fresature, che ricavano le due strisce sovrapposte di finestre dei corridoi: una scelta che sembra dare ancora più peso alla massa muraria. La staticità viene però rotta dalle pieghe dell’involucro che si creano in corrispondenza dei corpi scala dove si aprono verso l’esterno squarci che fanno entrare la luce nelle scale e nello stesso tempo ne segnalano la presenza. Un altro elemento da notare è il particolare delle due aperture per l’illuminazione naturale dell’aula magna: lo shed in copertura abbinato alla finestratura nello sfondato che dà rilievo alla facciata verso la piazza, dove il muro viene piegato nelle diverse direzioni. Il tema della scuola è ricorrente nei lavori di En rico Mantero: molti sono i progetti, realizzati o solo pensati, che lo studiano e lo interpretano.
È un argomento che giustamente considerava nodale sia perché l’istruzione è l’elemento por tante della cultura di una società, sia perché la scuola, in quanto edificio pubblico, è elemento strutturante della città. La società da una parte e la città dall’altra sono il contesto nel quale un’architettura, per potersi definire tale, deve trovare il suo posto. Penso che questo fosse una sorta di imperativo morale per Enrico Mantero. In questo senso la Scuola di Albate può essere presa come un esempio paradigmatico, molto chiaro tanto negli assunti quanto nei risultati. L’attenzione al dimensionamento degli spazi didattici, alla loro diversificazione, alla loro qualità architettonica mostra come il lavoro dell’architetto non possa limitarsi alla presa d’atto di un fabbisogno, ma debba spingersi ad interpretarlo per coglierne i contenuti e capirne le potenzialità di evoluzione. Solo nel 1970 lo Stato si doterà di una normativa per l’edilizia scolastica individuando standard dimensionali e qualitativi degli spazi della scuola che questo progetto in qualche modo anticipa. Se le scelte nella distribuzione e nelle dimensioni appropriate dei luoghi delle varie funzioni della scuola tentano di sperimentare un modo di intendere la scuola, la qualità architettonica degli spazi diventa a sua volta uno dei contenuti dell’offerta didattica della scuola stessa. Pen so che alla base di questo progetto vi sia questa doppia tensione: da una parte l’immaginare e quindi favorire possibili nuovi comportamenti in coerenza con l’evolversi della società e delle sue istituzioni, dall’altra il rendere partecipi i fruitori delle potenzialità espressive e simboli che che l’architettura possiede. Un’architettura che insegna a capire come forma e funzione possano arricchirsi a vicenda offrendo maggiore qualità al vivere.