Casa sul Bosforo

Si legano alle vicende di questo progetto, nell’arco di poco meno di un decennio, i viaggi a Instanbul, il rapporto difficile con la committenza e non ultimo la perdita di un collaboratore molto stimato – Renato Tomirotti – che aveva partecipato in modo attivo alla stesura dello stesso. Intrecciando esperienze professionali e universitarie, l’interesse di Enrico Mantero sino allora più indirizzato su tematiche nord europee – vedi l’esperienza olandese – coinvolge verso la metà degli anni Ottanta il bacino mediterraneo, prima col viaggio di studio in Grecia poi con le tesi riferite ad Atene e alle città porto. Già in alcuni progetti di quell’epoca ne appaiono le influenze: lo studio per una colonna moderna all’Acropoli (1986), ad esempio, viene sviluppato nel progetto per la biblioteca di Seregno ed è giocato su rapporti di luce-ombra che definiscono i diversi volumi e le diverse profondità. Il progetto per la casa sul Bosforo ha inizio poco dopo e rappresenta uno dei momenti più alti della carriera del progettista: qui la sintesi nel trattamento volumetrico raggiunge la completa maturità. Il tema della residenza extraurbana lo coinvolge alla maniera degli antichi nel costruire un luogo dedicato all’otium romano. Il programma prevede la costruzione di una residenza di grandi dimensioni lungo la costa asiatica del Bosforo su un terreno in pendenza già occupato da un edificio di cui è prevista la demolizione. La ricerca compositiva di Mantero, da sempre volta all’indagine di figure geometriche semplici, trova in questo caso la sua espressione più complessa e quasi filosofica: i primi schizzi partono dalla divisione del quadrato sulla sua diagonale a cui si aggiunge più tardi un secondo quadrato ruotato a 45°, di filaretiana memoria. L’intreccio e la scomposizone delle figure procede verso la definizione di un impianto a L che oppone la linearità del fronte principale ad una serie di traslazioni e aggetti nei prospetti posteriori. Anche il volume, nel suo complesso, risponde alla stessa regola: uno scavato che segue due diverse norme nel trattamento del lato interno ed esterno, un gèode architettonico. Architettura introversa in cui, analogamente a quanto accade nelle corti, appare il contrasto nella facciata più complessa che dà sul Bosforo, tra l’interno in filigrana e un esterno volutamente lineare. Vista dall’acqua, l’immagine globale è quella del trilite che compone il portale classico, realizzando uno spazio coperto e ombreggiato una sorta di mihrab gigante. Prospetticamente la figura del quadrato torna a ritmare gli spazi esterni e raccorda i vari dislivelli del terreno con rampe e pianerottoli in modo quasi teatrale. Il suo adeguarsi lungo il declivio naturale del terreno viene evidenziato dalla sezione che è elemento indagatore del progetto: un modo di ideare l’architettura e le forme molto lombardo e leonardesco. La ricerca sulla forma scavata non preclude la razionale distribuzione degli spazi che risultano razionali ed adeguati al tema. La disposizione degli spazi prevede al piano terreno la zona giorno e al piano superiore la zona notte. Orientamenti, disposizione delle risalite e affacci interni confermano la disposizione classica memore della residenza borghese dei primi del secolo scorso con reminiscenze di quello che era definito piano nobile. “La casa sul Bosforo è forse la ricerca ed il progetto più bello e più appassionato che ho fatto. Se guardiamo attentamente il modello e la pianta notiamo la matrice fondamentale: il grande vuoto dove, dentro una grande ombra si affacciano sia al piano terra sia al primo piano tutti gli ambienti famigliari.” Dalla corrispondenza conservata nell’archivio di famiglia è possibile ricostruire una sia pur minima cronologia: il progetto viene consegnato alla committenza all’inizio del 1989, compreso il plastico tuttora esistente, la quale sottolinea in seguito per lettera una presunta non totale adesione al programma originale ed invita il progettista a modificare il progetto in più punti, in particolare nelle dimensioni del prospetto principale, chiedendo di rimpicciolirlo, nel numero delle camere e nella sistemazione esterna che doveva avere una zona per il pranzo. Le modifiche richieste snaturano in parte l’impostazione del progetto: Mantero ne redige uno nuovo, in parte differente, che non possiede più i valori architettonici del primo. Questa seconda variante, a cui non viene dato seguito chiude di fatto l’esperienza sul Bosforo. Nonostante tutto, la casa sul Bosforo, a nostro giudizio, rimane un magnifico esempio di residenza ottomana, possedendo una capacità espressiva tipica di alcuni brani dell’architettura di barriera che si incontra in quei luoghi di estremo scambio culturale, quali appunto Istanbul. Saranno proprio questi viaggi nella città di Santa Sofia a modificare la visione di un architetto di formazione razionalista che si confronta con il linguaggio decorativo di tradizione bizantina.

[NICOLA MASTALLI E MARCO VALSECCHI da MANTERO: CENTO ANNI DI ARCHITETTURA]