Gianni Mantero

Gianni Mantero nasce a Novi Ligure nel 1897, ultimo di otto fratelli, da una famiglia di imprenditori tessili guidata dalla madre Enrica Sovera, che trasferisce, nel giro di pochi anni, i figli a Como dove costruiranno una delle fabbriche tessili tra le più prestigiose nell’ambito della secolare storia dell’industria tessile comasca che tanto ha influito sulla forma urbis. Gianni è l’unico che non sceglie questa strada e opta per gli studi di ingegneria. Si iscrive, nel 1913, al “Biennio” dell’Accademia di Brera, fase “obbligata” per gli ingegneri civili. Ha come professore, tra gli altri, Camillo Boito. Nel 1915 parte per il fronte del Carso con il Reggimento Genio Zappatori della Divisione Mantova. Torna nel 1919 dopo una lunga prigionia ospedaliera in Ungheria dove conobbe giovani ingegneri austriaci, tedeschi e polacchi che ritrovò negli anni Trenta in seno al Movimento Moderno. Ecco il giovanile contatto “tecnicoculturale” con la Città Mitteleuropea, anche se in seno alla tragedia bellica. Tornato a “casa”, frequenta il Triennio di Ingegneria Civile e si laurea nel 1921 al Politecnico con Giovanni Muzio, che resterà il suo riferimento fondamentale per la “storica tradizione urbanistica ed edile” della Città. Nel 1928 realizza i Magazzini Mantovani iniziando la sua ricerca di interprete del pensiero di Adolf Loos: è l’addio cosciente all’Eclettismo e l’inizio degli studi sulle Scuole dei Nuovi Maestri. Nel 1930, ed è qui l’incontro con i giovani Razionalisti comaschi, partecipa all’ultima edizione, la IV, dell’Esposizione Internazionale d’Arte Decorativa di Monza, sul tema della Sartoria. Inizia qui il rapporto con il Gruppo e la grande amicizia concettuale e artistica con Giuseppe Terragni e Pietro Lingeri. Nel 1931 realizza la sede della Canottieri Lario che è di fatto un omaggio all’altro suo grande maestro Walter Gropius: è il confronto con le funzioni collettive negli stilemi universali del Movimento Moderno europeo.
Nel 1933 con tutto il Gruppo di Como e con il lecchese Mario Cereghini realizza, alla V Triennale, la Casa dell’artista sul Lago, limpida opera razionalista. Sempre nel 1933 realizza il completamento dello Stadio Sinigaglia a Como nel rispetto dei “tracciati” del suo maestro milanese Luigi Greppi: è il ritorno ad esplorare una reale monumentalità delle funzioni collettive alla scala della città. La stupenda esperienza di opere di architettura che, pur diverse tra loro, per i riferimenti che ho citato prima, hanno definito un tessuto delle “forme” che, grazie al loro prestigio, hanno definito il luogo che testimonia il passaggio tra Ottocento e Novecento.
Che dire, al di là dei sentimenti e dell’amore per l’architettura di mio padre, della sua opera “la Canottieri” alla quale col suo consenso nel 1980 ho completato il lato est adibito a palestra? Mio padre ha sempre avuto grande interesse e un grande riferimento alle opere e alle prime fi gure culturali del Movimento Moderno Centro Europeo e, in particolare, a quello tedesco e olandese. La Canottieri è certamente una visitazione alle opere giovanili di Walter Gropius trasportata in una “catarsi mediterranea”. Il “sigillo” che mio padre ha voluto lasciare a questa “Mediterraneità”, e alla scenografi a del Lago nel suo rapporto di “natura naturata”, è certamente il Trampolino, opera dell’intellettualità ingegneristica, ardimentosa, pur nella sua “misura domestica”. Il Trampolino si “abbraccia”, per così dire, con il Monumento ai Caduti del Peppino (Terragni, ndr.), si abbraccia e si unisce a lui in una stupenda astrazione formale che, radicata nell’esprit novecentesco anticipa il realismo delle Forme Architettoniche Razionaliste. Tutto quanto ho detto in queste brevi note, lo sento come un rimpianto rispetto alla condizione attuale dell’Architettura che la Società Civile di oggi non reputa più, non conosce più e, infine, non pratica. Dopo di che, la Seconda Guerra. Capitano del Genio Pontieri della gloriosa Divisione Autotrasportata Mantova parte per affrontare il Fronte Cirenaico ma, l’8 settembre, rimane bloccato in Calabria con i suoi Genieri. In un’ultima licenza, nel 1943, s’incontra con il Peppino e quando tornò nel 1945 cercò per primi Lingeri e Terragni.
Troverà solo Pietro Lingeri, Peppino se ne era già andato in cielo. Siamo così agli Anni della “Ricostruzione”. Con Uslenghi, Giussani, Ponci, lavora per l’IACP progettando Quartieri Operai che, pur nella loro “miseria edile”, rimangono per lui gli unici segni della continuità del Razionalismo e della sua passione d’interprete. Eccolo di nuovo a interpretare, anche se per piccoli brani, le tracce delle idee dell’espansione metropolitana contenute nel QT8 di Piero Bottoni così com’erano state nell’Amsterdam Zuid di Hendrik Petrus Berlage. Progetta e realizza fabbriche tessili, asili, restauri, soprattutto oltre che per la Mantero anche per la Somaini di Lomazzo, intrecciando la professione con la creazione di fatti ed episodi artistici, nella pittura e nell’incisione, fondando la BNEL. Ecco era la sua coscienza di praticare i valori derivanti dall’unione delle Arti Sorelle. Significativa di questa coscienza è la simbiosi tra funzione tecnica e stile, cioè, utilità e bellezza contenuta nel Park Hotel del 1962 localizzato nell’area del Prato Pasqueè vicino al suo Stadio, e nella Scuola Media di Albate del 1966, conclusiva per il mio proseguire nel Suo insegnamento. Se ne va nel maggio del 1985 lasciando viva e operativa in noi la sua grande capacità d’interprete dialettico, nella contemporaneità, dei contenuti tipologici e lessicali del Movimento Moderno Europeo.

[ENRICO MANTERO da MANTERO. CENTO ANNI DI ARCHITETTURA]
*testo redatto nel 1997 in occasione dei cent’anni dalla nascita del padre ing. Gianni Mantero